Quest'area ha un grande potenziale vista la vicinanza con la città di Roma, ed è stata una scelta positiva quella di creare e promuovere la DOC
CASTELLI ROMANI, che anche per il suo nome costituisce motivo di richiamo, sia per la parola "castello" che evoca qualcosa di legato al vino come "chateau" per la Francia e "castello" per la Toscana, che per l'attributo "romano" che la accomuna alla città eterna.
La qualità dei vini della
cintura dei Castelli è passata particolarmente per l'utilizzo
di un vitigno, la
MALVASIA DEL LAZIO,
chiamata localmente
MALVASIA PUNTINATA
perché ogni acino presenta un puntino, ma avendo questo vitigno
una produzione abbastanza incostante si sta progressivamente sostituendo
con
TREBBIANO GIALLO,
TREBBIANO
ROMAGNOLO,
MALVASIA DI CANDIA.
Questa maggiore produzione è ricercata attraverso il sistema di
allevamento, con utilizzo quasi intensivo del tendone che arriva
purtroppo a rese troppo alte.
All'interno dei Castelli Romani la DOC di riferimento è la
FRASCATI, forse la più famosa ma anche la più vicina a Roma. Frascati nasce sull'antica
Tusculum dove c'era la villa di Tiberio, e nei dintorni i cacciatori si ritiravano durante la notte sotto le "frascate", rifugi di fortuna costruiti nei boschi. La frascata è rimasta anche come simbolo del vino nuovo, e viene esposta una frasca ad indicare l'ultimazione della vendemmia e l'uscita del vino giovane.
Tipica dei Castelli è la vendita di vino sfuso e in modo particolare l'«ottobrata romana»: l'ottobrata era una ricorrenza per i romani, la gita ai Castelli, con la possibilità di bere un buon vino che, se fosse stato trasportato a Roma, probabilmente sarebbe giunto alterato.
Il
CANNELLINO dolce è una tipologia tradizionale della DOC FRASCATI. Un tempo questo vino nasceva in virtù della realtà pedoclimatica all'epoca in cui l'Agro Pontino non era ancora stato bonificato, e il territorio paludoso favoriva la formazione di muffe nobili. Queste muffe bloccavano la fermentazione e concentravano gli zuccheri dando origine ad un ottimo vino dolce. Addirittura con i primi caldi primaverili le rifermentazioni davano vita ad un vino leggermente frizzante e beverino, la cosiddetta "
Romanella". Oggi, invece, il Cannellino è prevalentemente ottenuto con vendemmia tardiva.
Anche se si è parlato spesso di una candidatura del FRASCATI a DOCG, l'assenza di una politica promozionale comune non ha ancora portato a tale risultato. I vitigni più utilizzati sono
TREBBIANO TOSCANO,
MALVASIA DI CANDIA,
MALVASIA DEL LAZIO e
GRECO.
Qualche produttore sta iniziando ad emergere con i vini bianchi
e con la riscoperta di vitigni autoctoni come il
CACCHIONE
ed il
BOMBINO BIANCO, ma
si muove qualche critica per il presunto eccessivo utilizzo
di vitigni internazionali.
Per quanto riguarda la parte nord della regione c'è una sorta di continuità con le regioni confinanti, e quindi la presenza di
SANGIOVESE,
TREBBIANO e
MALVASIA.
Oltre al
TREBBIANO TOSCANO ed alla
MALVASIA BIANCA DI CANDIA che troviamo nel resto della regione, nel nord del Lazio il vitigno più importante è il
GRECHETTO al confine con l'Umbria nella DOC interregionale
ORVIETO.
Altro vitigno utilizzato è il
ROSCETTO (o
ROSSETTO) presente in particolare nella DOC
EST! EST!! EST!!! DI MONTEFIASCONE. Il nome di questo vino è legato ad una sorta di leggenda , quella del monsignor
Johannes Defuk (o
Deuc), al seguito dell'imperatore Enrico V ed amante del vino di qualità, il quale, in procinto di viaggiare da quelle parti, inviò il suo coppiere in quelle zone chiedendogli di scrivere "
EST" sulla porta delle cantine che servivano vino buono. Il servo
Martino fu talmente colpito dal vino di Montefiascone che scrisse ben 3 volte la parola "EST". Poiché l'arcivescovo si trasferì a Montefiascone, c'è ancora la tradizione per cui una botte di vino nuovo viene ogni anno versata sulla sua tomba come buon auspicio e per ringraziamento. Il vino dell'epoca pare che fosse comunque diverso da quello attuale, era dolce e veniva realizzato con uva Moscatello di Montalcino.
Nel viterbese, grazie anche
all'uso di
GRECHETTO in purezza,
stanno emergendo bei prodotti che hanno poco da invidiare ad altri celebrati cugini toscani e umbri.
Nella zona del lago di Bolsena
troviamo la DOC
ALEATICO DI GRADOLI dove per produrre un
rosso liquoroso dolce o passito si utilizza il vitigno
ALEATICO,
lo stesso dell'isola d'Elba. L'abbinamento tipico di questo vino
è con il tozzetto viterbese, molto simile al cantuccio toscano
(il biscotto della mattonella).
Nella DOC
CERVETERI
si produce un rosso tipico con
SANGIOVESE
e
MONTEPULCIANO, più un bianco
con
TREBBIANO e
MALVASIA.
Le DOC
COLLI DELLA SABINA
e
COLLI ETRUSCHI VITERBESI hanno raccolto aree di produzione
che da sole non esprimevano una loro identità. La Sabina in particolare
è maggiormente vocata per la produzione di olio extravergine d'oliva
(cfr.
OIL
WATCHING).
©www.valleaniene.it |
Andando verso sud entriamo nella provincia di Frosinone e troviamo quello che forse è il vero vitigno autoctono della regione, il CESANESE. Le DOC originarie erano tre, CESANESE DI OLEVANO ROMANO e CESANESE DI AFFILE (questa purtroppo sta quasi scomparendo, perché pochi produttori la imbottigliano) e CESANESE DEL PIGLIO, che nel 2008 si è fregiata della DOGC grazie al lavoro importante dei Produttori. I vitigni in particolare cono il CESANESE DI AFFILE e il CESANESE COMUNE, si vinifica un rosso secco ma ci sono anche delle versioni amabili, simili alla Vernaccia di Serrapetrona prodotta nelle Marche. Con un salto di qualità, chissà, in versione spumantizzata potrebbero dare del filo da torcere addirittura al Brachetto.
|
Sempre nella zona del frusinate troviamo un'altra DOC, la ATINA, dove è predominante la produzione di CABERNET SAUVIGNON sin dal 1800, e alcuni produttori fanno vini di un certo rilievo.
Andando verso li litorale si attraversa la DOC CORI dove esiste un vitigno particolare molto legato alla zona, il NERO BUONO, per arrivare alla DOC CIRCEO che esprime diverse produzioni di interesse con vitigni internazionali, e poi in particolare all'ottimo MOSCATO DI TERRACINA DOC.
|
©www.viaggioinciociaria.it |
La DOC
APRILIA esprime quantità industriali per le tre sottodenominazioni,
TREBBIANO,
SANGIOVESE e
MERLOT. La presenza di tali vitigni risale al periodo della bonifica tra le due guerre mondiali, quando Veneti ed Emiliani emigrarono da queste parti e crearono una produzione di quantità in quanto il vino era considerato un alimento corroborante per il lavoro.
L'associazione Le Vigne del Lazio, nata per rifondare il concetto di vino di qualità nella regione, raggruppa circa 20 aziende con i loro prodotti
|
|
Con un'azienda in particolare, il produttore Casale del Giglio, c'è stato un inserimento marcato di vitigni internazionali. I proprietari, la famiglia A.Santarelli, alcuni anni fa hanno iniziato una sperimentazione con il professor Scienza piantando molte varietà di vitigni e loro cloni (PETIT VERDOT, CABERNET SAUVIGNON, SYRAH, MERLOT, ecc.) procedendo poi a microvinificazioni e verificando quale potesse essere la resa del vitigno rispetto al terreno. Sono vitigni tipici bordolesi sui quali si è insistito per la presenza di terreno sabbioso (vista la vicinanza al mare).
|
LA GASTRONOMIA LAZIALE
La gastronomia laziale deve le sue origini alla cucina plebea, quella povera e popolare, ed alla
cucina ebraica. I nobili infatti consumavano piuttosto piatti francesi.
Tipica della cucina romana è la presenza delle verdure, un'esigenza nata per il rispetto religioso
dell'astinenza dalla carne (anche se poi la carne se la potevano permettere in pochi...):
broccoletti cotti nel
brodo di arzilla,
carciofi alla romana e alla giudìa,
sedano con il pinzimonio (verdura considerata afrodisiaca,
olio, largo uso di pepe rinvigorente, il nome diventa allusivo, il "
cazzimperio"),
puntarelle,
misticanza.
Numerosi i primi piatti con menzione particolare per la
Matriciana o
Amatriciana: secondo il
famoso storico della enogastronomia romana, Secondino Freda, ad Amatrice c'erano i pastori che cucinavano la pasta con listelli di guanciale e pecorino (quella che oggi si chiama
Gricia, forse dai
grici che erano i "norcini" di un tempo oppure dal paese di Grisciano nel reatino).
"pajata" - ©www.salvaroma.it |
Il piatto forse fu importato a Roma dai cuochi amatriciani che introdussero la salsa di pomodoro nella Gricia e crearono la Matriciana. In un primo momento fu mantenuto il pepe nel condimento, ma in seguito lo si sostituì con il peperoncino. Nella salsa di pomodoro non compare la cipolla, ma anche qui la situazione è un po' controversa.
Un'altra versione sull'origine del piatto è data dai Velletrani: la gota del maiale qui viene chiamata "matrice",
e poiché è l'ingrediente dà il nome alla pietanza, la "matriciana".
Altro piatto tipico sono gli spaghetti alla Carbonara, così chiamati perché la massiccia presenza
di pepe nero dà l'idea di una carbonaia. Ingrediente principe quindi il pepe con crema d'uovo, preparata sapientemente prima che la cottura lo solidifichi. Assolutamente banditi burro e panna! |
Parlando delle carni bisogna citare il famoso "
quinto quarto": contro ogni logica matematica si creava
una quinta parte dell'animale sezionato al macello poiché le parti di scarto venivano date ai lavoratori (
coratella, pajata, coda, testina,...). Con questi ingredienti ci si invenatava la cucina del popolo: ad esempio la
coda alla vaccinara prende il nome dai
vaccinari , i macellatori, ai quali veniva regalata la coda perché non aveva mercato e in casa si trovava il modo di cucinarla e renderla appetibile, con sughi tirati e notevole
presenza di carote e sedani.
Ci sono poi la
coratella con i carciofi e, tornando un istante ai primi, i
rigatoni con la pajata, cucinati con i piccoli budelli di animali che hanno assunto solamente il latte e quindi contengono del siero che si raggruma. Per le carni va detto che la tradizione vuole in prevalenza l'agnello ("
abbacchio", il cui nome dovrebbe derivare da
Ad Baculum, il bastone usato per abbatterlo; il piatto tipico si chiama invece "
abbacchio alla scottadito" perché servito molto caldo) e il capretto (oggi quasi sempre israeliani o neozelandesi), un po' meno il pollo e il tacchino meglio noto come "
gallinaccio".
Essendo il pesce un po' difficile da reperire, durante i periodi di astinenza fanno la loro parte i prodotti caseari, in particolare il
pecorino romano è una delle prime DOP concesse ai formaggi e che al 90% viene prodotto in Sardegna. Se ne fa un uso abbondante in diversi piatti, in particolare nella
trippa alla romana.
La
mozzarella di bufala è molto diffusa nel basso Lazio, così come la
provatura, formaggio a pasta filante.
La
ricotta si ritrova soprattutto nei dolci, soprattutto quelli legati alla tradizione giudaica. A questo proposito vanno anche ricordati i fritti come il
baccalà, i
carciofi e i
supplì.
I friggitori si chiamavano "
panzanera" perché la loro canottiera non era sufficiente a coprire la grossa mole e
la pancia si anneriva con la fuliggine e col fuoco del forno a legna.
I dolci più famosi sono a pasta lievitata, ma ci sono anche i
mostaccioli, gli
straccaganasce, le
ossa
da morto. Il più famoso e tipico è il
maritozzo con la panna che deve il suo nome alla tradizione che lo voleva essere il dolce tradizionale portato dai fidanzati alle loro donne e in quelle occasioni venivano chiamati affettuosamente "maritozzi", cioè quasi mariti.